Franca Maria Ferraris

Recensioni

 

Giudizi di importanti critici sulle opere - Recensioni 2011

“Animali in teatro”, Bastogi 2011

Ho letto “Animali in teatro” con interesse e, in più punti, con vivo coinvolgimento. Sembra che l’autrice si sia guardata attorno e abbia tratto dall’osservazione del nostri fratelli animali un saggio atteggiamento di comprensione nei confronti della labirintica, misteriosa complessità, in cui li ha posti l’Enigma Perfetto. Con piacere ho notato che non ha seguito le orme della favolistica  classica da Esopo a La Fontaine. I suoi animali, infatti, sono ‘persone’, maschere dei vizi e delle umane virtù, ma esseri vivi, conosciuti per esperienza diretta o indiretta o evocati  e reinventati dalla fantasia. Ognuno di essi, come nella “Spoon River Anyology” di Edgar  Lee Master (ma il parallelo finisce qui), si presenta e parla di sé, dei suoi bisogni, del dolore e della gioia di vivere: in breve, del suo effimero, misterioso essere nel mondo. E parlando di sé, e di ciò che fanno, gli animali, divenuti attori di sé medesimi,  svelano il loro piccolo mondo: la nicchia che la sorte ha loro riservato; e allora, conoscendoli meglio nell’intimo - ed è l’autrice, con la sua poesia a rivelarcelo - ti rende conto che anch’essi sono nostri fratelli da amare e rispettare, così come gli esseri umani chiedono di essere amati o, quanto meno, non  offesi nella loro dignità di esseri viventi.
E un’altra cosa mi convince in questa silloge: il fatto che l’autrice mette in scena non soltanto gli animali ‘buoni’,: l’agnello, il cigno… ma anche i ‘ cattivi’: inquietante la lirica sul cobra. La Ferraris, però, non pronuncia sentenze, non condanna, non assolve (e sta qui un’altra nota originale), ma accetta la Volpe Rossa, il Ragnetto Jack,  lo Scorpione, per quello che sono e fanno in seno a madre natura;  e, in questa accettazione, sta un messaggio di saggezza: il dono che l'autrice elargisce al lettore.
Nei versi, dal ritmo narrativo e pianamente epico, è la condizione dell’animale che viene posto di volta in volta sulla ribalta del nostro cuore a farsi poesia. Sono versi nei quali senti alitare la voce immortale e rivoluzionaria di Francesco e un’eco pacata, anzi delicata, delle lotte ambientaliste in atto; e ciò mi piace molto, per quanto questa  nostra esistenza mi appaia sempre più spesso un viluppo assurdo e sconcertante.

EMILIO SIDOTI

Giugno 2011

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“Animali in teatro”, Bastogi 2011

In questo suo nuovo libro di poesie sembra che l’autrice Franca Maria Ferraris si sia guardata intorno e abbia tratto dall’osservazione dei nostri fratelli animali un saggio atteggiamento di comprensione nei confronti della  labirintica misteriosa complessità in cui ci ha posto l’Enigma Perfetto. Con piacere noto che la Ferraris non ha seguito le orme della favolistica classica da Esopo e La Fontaine. I suoi animali infatti non sono “persone”, maschere  dei vizi e  delle umane virtù, ma esseri vivi, conosciuti per esperienza diretta o indiretta o evocati e reinventati dalla fantasia. Ognuno di essi, come nella “Spoon River Antology” di Edgar Lee Master (ma il parallelo finisce qui), si presenta e parla di sé, dei suoi bisogni, della gioia e del dolore del vivere: in breve, del suo effimero, misterioso essere nel mondo. E parlando si sé e di ciò che fanno, gli animali, divenuti attori di se medesimi, ti svelano il loro piccolo mondo: la nicchia che la sorte ha loro riservato; e allora, conoscendoli meglio nell’intimo -   è l’autrice con la sua poesia a rivelarcelo -  ti rendi conto che anch’essi  sono  nostri fratelli da amare e rispettare, così come gli esseri umani chiedono di essere amati o, quanto meno, non offesi nella loro dignità di esseri viventi E un’altra cosa mi convince in questa silloge: il fatto che si mettano in scena non soltanto gli animali “buoni”: l’agnello, la farfalla, il cigno…, ma anche i “cattivi”: inquietante la lirica sul cobra. La Ferraris però non pronuncia sentenze, non condanna, non assolve (e sta qui un’altra  nota originale), ma accetta la Volpe Rossa, il Ragnetto Jack, il Cobra per quello che sono e fanno in seno a  madre natura; e in questa accettazione sta il suo messaggio di salvezza: il dono che elargisce al lettore. Nei  versi, dal ritmo narrativo e pianamente epico, è la condizione dell’animale, che di volta in volta viene posto sulla ribalta del nostro cuore,  a farsi poesia. Sono versi nei quali senti alitare la voce immortale e rivoluzionaria di Francesco e un’eco pacata, anzi delicata, delle lotte ambientaliste in atto; e ciò mi piace molto, per quanto questa esistenza mi appaia, sempre più spesso, un viluppo assurdo e sconcertante.

EMILIO SIDOTI

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“Animali in teatro”, Bastogi 2011
Il libro è stato recensito sulla RIVISTA CULTURALE LATMAG di BOLZANO, N. 66 – Marzo 2011 da Eugen Galasso che così ha scritto
“Animali in teatro”  di Franca Maria Ferraris, con illustrazioni (molto belle di Michela Savaia) e prefazione, non solo autorevole, ma efficacissima di Milena Milani. Ognuno di noi ama gli animali, pur se magari non tutti, perché verso certuni proviamo paura, repulsione o semplicemente avversione. A parte la darwiniana teoria dell’evoluzione, mutuata da Lamarck e poi comunque sempre riproposta come unica spiegazione razionale del divenire del vivente (dopo Teilhard de Chardin, del resto, non  ha più senso, se non a livello di polemica settaria, riproporre il dualismo manicheo “creazionismo- evoluzionismo” , si rilegga lo straordinario “La grande catena dell’essere” di A. Lovejoy, dove viene proclamata  l’unità profonda dei quattro regni della natura e dove, come ultimo e più elevato, considero quello umano.  ebbene, in questi testi poetici, la poetessa mette in scena  - come per le tragedie di Seneca, i grandi poemi epici e non, e i racconti di Dickens, si intende una lettura interpretativa,  per questi testi, più che una messa in scena, cioè il livello pre- teatrale, meglio, anzi, pre- rappresentativo – moltissimi animali, anche quelli considerarti “fastidiosi” e “molesti”, ingentilendoli (cfr. per esempio lo scorpione che non punge una gentile fanciulla intenta alla lettura), ma anche il “vampiro” inteso come animale, ossia una varietà di pipistrello, ma riferendosi in  realtà al Vampiro, il “mai morto” di Bram Stoker, il grande autore di “Nosferatu”, dove però le leggende relative al “non più vivo mai morto” sono attestate da sempre, che non è “buono”, ma meno maligno di “un mostro assai più funesto di me, /  ‘umano vampiro’ egli è detto” ( op.cit. p. 32). “strano Spoon River  delle bestie parlanti”, scrive intelligentemente  nella sua prefazione la Milani  (p.6), dove la rassegna, che include anche la balena di Melville “Moby Dick”, si chiude con il liocorno, il “transformer”, emblema della magia e della fusione tra “reale” e “immaginario”.  

EUGEN GALASSO        

Sulla stessa Rivista, a pag. 8, è riportata la poesia “la chiocciola”, tratta dal libro “animali in teatro”. (Dalla Rivista culturale “Latmag” n. 66, marzo 2011).

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Recensione di Laura Rainieri al libro “Animali in teatro”, Bastogi 2011 di Franca Maria Ferraris
Si riporta il testo critico di Laura Rainieri, sempre sul libro “Animali in Teatro”, Prefazione di milena Milani, Illustrazioni di Michela Savaia, Ed. Bastogi 2011   Con  la sua  capacità di trattare in poesia argomenti  diversi e con facilità di verso, piegato al suo volere, secondo la tradizione letteraria italiana, in questo nuovo libro di poesia “ANIMALI IN TEATRO”, Bastogi 2011, Franca Maria Ferraris  perlustra il Creato, cercando di dare voce a tutti coloro che restano in  silenzio, nella fattispecie gli animali,  come dice in exergo, citando Arnold Eidslott. Dare voce alle creature dell’universo che non hanno linguaggio umano è, allo stesso tempo, un atto d’amore e di recupero consegnato ai posteri e, insieme, una volontà di interpretare le espressioni vocali di tante creature, espressioni per lo più sconosciute agli uomini o di difficile decodificazione. Il libro si avvale della prestigiosa prefazione di Milena Milani, che introduce   alla lettura del testo con  tono accattivante e molto  personale. Le illustrazioni, coloratissime, sono di Michela Savaia e ben armonizzano con le poesie, mettendo in rilievo le caratteristiche dei vari personaggi animaleschi. Anche la  copertina è sapientemente realizzata da Michela Savaia: un  rosso sipario che si apre su uno sfondo azzurro, in  attesa di  presentare agli spettatori  la sfilata degli animali  che vi reciteranno i loro monologhi, proprio come in un teatro.  Il lettore , al quale si affacciano le figure degli animali chiamati in causa, reali o fantastici che siano, viene quindi immerso in un mondo favoloso, ricco di oscurità e di ombre, come sempre sono i versi della Ferraris, che lo fa entrare in uno zoo particolare, dove i grandi diventano bambini e viceversa, e dove incontra figure di  animali che gli hanno regalato il loro affetto o scatenato le sue paure. Emerge, inoltre, un livello di lettura che risveglia  le conoscenze letterarie, non solo di Esopo  o di Fedro, ma di autori a noi più vicini, dove l’animale è considerato sia nella sua reale natura, sia come simbolo di vizi o di virtù. Ogni poesia contiene un messaggio che fa riflettere, come quella iniziale “Il passero”, piccolo uccello cantato fin dai tempi di Catullo, che si legge come una metafora del mondo odierno, abitato, per una parte,  da un’umanità troppo sazia e,  per un’altra parte, da un’umanità che muore di fame e che, come il passero, chiede un gesto d’amore, cioè almeno le briciole, per potersi salvare. Il concetto d’amore filtra in molte altre poesie come ne “La raganella Dolcinea” e ne “Il corvo” che perde la compagna e il suo grido risuona come “un affranto richiamo d’amore” fatto di inconsolate lacrime (“l’illacrimata sepoltura” foscoliana). Ci sono anche “l’asinello”, umile e  bistrattato, ma che vorrebbe essere,  invece, una “creatura intelligente e amata”, e “I cigni” che reclamano acque più limpide. C’è “Il drago dagli occhi di sole” che scrive sulla sabbia una storia d’amore senza fine, ma nessuno la  leggerà perché un’onda verrà a  cancellarla. Questi gli esempi,  per rilevare come l’idea dell’amore circoli per tutta l’opera. Un altro concetto che vi ha risalto è quello della pace. Trovo bella, quasi petrarechesca, la poesia  “Piccola rossa volpe” il cui corpo è ormai unito “al nero corpo della terra” da dove, come Laura, invierà un  ultimo saluto al passante. La morte, in questi testi poetici, è vista come un evento non orribile ma naturale, se non addirittura dolce. “L’ape”, ad esempio, felice di aver procurato all’uomo un dolce favo pieno di miele, implora come ricompensa, che la morte sia per lei come un soffio e “la mia urna il calice di un fiore”. Il topo che muore tra gli artigli del gatto è nella regola, mentre la tristezza del cardellino che, pieno di gioia, ma con un triste presagio, già paventa, in estate, l’arrivo dell’inverno, ha un tratto molto delicato. La vendetta de “l’Albatro di Samuel” ( ispirata alla ballata di  T. S. Coleridge), è invece altra cosa, in quanto l’albatro viene  ucciso senza  motivo da un marinaio che dovrà poi espiare la sua colpa. “Il cormorano” , evocando la sua immagine televisiva coperta di petrolio al tempo  della “guerra del Golfo” (1991), chiede libertà di volo in  un cielo pulito, non contaminato da guerre e da disastri ambientali; e anche  “il merlo indiano” come “la rondine di mare” contengono la stessa idea di libertà. Molto suggestive e frutto di pura invenzione, sono le poesie dove si rovesciano i ruoli tradizionali di alcuni  animali, oppure dove l’uomo non viene assimilato all’animale perché sarebbe un’offesa per l’animale stesso. Se “il leone dal bianco mantello”, re della foresta, può vantare sentimenti umani per il topolino che gli tolse la spina, e “lo sciacallo”  può essere  scusato perché la sua immonda fame,  guidata dall’istinto, gli è connaturata, gli uomini quali scusanti hanno di essere sciacalli dei loro simili? O di spargere veleno attornoa sé,  più di uno scorpione? (“lo scorpione”); O chi può essere più mandrillo di un uomo che decida di  comportarsi come tale?” ( “Il gorilla”); o di saper succhiare più sangue di un vampiro? (“ Il vampiro”). Anche l’oca,  per  tradizione  stupida- come- un’oca, nella poesia “L’oca … furba o svampita?,  sa vivere nell’acqua e fuori, e  non teme  la pioggia torrenziale, a differenza dell’uomo che ne cerca riparo. Ciascuna poesia, dunque, è portatrice di messaggi, ma mi preme considerare ancora le tre poesie finali, ispirate a  importanti testi letterari,  e perciò cariche di simboli: la già citata “L’albatro di Samuel”, poi “Il lupo di gubbio” e,  infine, “La balena bianca”, dove è  ripresa l’idea di Melville, della lotta tra il bene e il male, qui  riproposta tra il mondo animale e il mondo umano, per la quale l’autrice propone l’alleanza tra  “l’uomo e i fratelli del mondo animale/  tra l’uomo e il suo profondo” , là dove trovano spazio gli istinti, e non i migliori. Chiude la raccolta la poesia “Il liocorno”, dove  Il mondo della magia e del mito sono  incorporati nell’affascinante figura mitologica del liocorno,  nata nel medioevo e protrattasi fino a noi, come testimonia la bellissima serie di arazzi, altamente simbolici,  de “LA Dama dal liocorno”, ad Angers. il mitico animale   assorbe, infine, l’interesse della ferraris che lo elegge rappresentante di  una realtà multipla, nominandolo come un gran “transformer”, cioè come colui che, grazie all’unicità del suo corno, può prendere le sembianze di altri animali, approdando così al regno della poesia dove  la realtà può assumere molti aspetti, a seconda  di come ogni poeta  la capta e la esprime,  e di come  ogni  lettore la comprende e la fa sua.

LAURA RAINIERI

Roma - agosto 2011

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RECENSIONI Aquilius e la stirpe del drago

I Segnalibri di Linda Finardi

Non solo per giovanissimi, ma per ogni fanciullino che abita in noi e vive di immaginazione e sensibilità. E come suggerisce il Pascoli bisognerebbe quasi togliere quelle categorie che razionalizzano i generi separando forse un po’ anche le generazioni, per godere appieno del mondo fantastico creato da Franca Maria Ferraris e Cristina Sosio.
Il racconto è direttamente svelato da Octavia, giovane protagonista femminile insieme al fratello Max e al Draghetto Mago. Ma molti altri sono i personaggi che si incontrano nella storia, a volte appartenenti solo alla realtà come i genitori, la nonna, i professori della scuola, e altre volte - molte di più - appartenenti al mondo della favola, gli elfi, le fate e le streghe e i malefici. Il Draghetto, insieme ai preziosi Gatti Sapienti, sono invece i personaggi “traghettatori”: si potrebbe dire che sono la fantasia che regna nella realtà perché sono gli unici personaggi fantastici che le Autrici fanno esistere, insieme ai protagonisti umani, sia nel mondo reale sia nel coloratissimo mondo di Elfilandia. E questa loro sana duplicità permette di guidare e proteggere i ragazzi nella loro avventura, in ogni entusiasmante ma anche delicato passaggio tra la realtà e la fantasia. Situazioni di fantasia e situazioni di realtà si alternano in tutto il libro, dapprima poco a poco per poi dare al lettore un mondo sempre più fantastico, con un exploit nel capitolo ventisei, giustamente tenuto quasi alla fine, denso di fantasia allo stato puro misto a poesia. Inoltre, se quasi fino alla fine l’Autrice-scrittrice permette al lettore di tenere una distanza tra sé e ciò che accade, in modo da dare lui l’opportunità di riflettere, nel capitolo citato questa distanza viene azzerata: non c’è più nessuna spiegazione da dare mentre si combatte contro il male. 
Sotto all’alto paradigma “bene-male” in cui si fa riferimento costantemente in tutto il racconto, sono posti una serie più dettagliata di valori, come quello delle piccole e grandi scelte, della verità, della fiducia, della lotta contro la violenza (interessantissimo il riscatto delle streghe), dell’importanza dello studio e della lettura, e anche quello della politica. I protagonisti, ad esempio, saranno portati anche a contrapporsi ferocemente al male, ma solo dopo aver attivato una politica di dialogo con le forze che lo incitano, un suggerimento forse non così diffuso tra i Fantasy, i quali si sviluppano in situazioni dove il conflitto è già in atto. 
Alla fine vince il bene. Quasi a darci la speranza che siamo sempre in tempo per sconfiggere il male, la negligenza e la noncuranza degli uomini verso la propria storia, che sia quella del patrimonio storico e quindi della comunità, che sia quella del singolo. L’intento delle Autrici è, come anche la parola “Stirpe” nel titolo lascia intendere, quello di ristabilire e consegnare ai ragazzi (ma abbiamo detto anche a tutti noi) il legame tra presente, passato e futuro, che rischia oggi forse di venire meno. Il bene vince quando i ragazzi hanno conosciuto la loro storia attraverso la conoscenza dei loro antenati e quando hanno conosciuto la storia del loro paese (il romanzo è ambientato nella cittadina di Quiliano e vuole proporre la storia in maniera più accattivante per i ragazzi). Quando nel mondo fantastico vince il bene iniziano i lavori di restauro del castello nel mondo reale….. Il bene è, insomma e in conclusione, il recupero e la cura delle nostre radici.
@LINDA FINARDI

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“Favola” è parola antichissima. Ha origine dal verbo greco “fari” che significa “parlare”. Come e a chi? Nella pratica comune è un parlare figurato ad uso soprattutto dei bambini perché usa un codice colorato e ingenuo (alle volte solo apparentemente ingenuo) che annulla i confini della comprensione imposti dal linguaggio e apre il dialogo con ogni oggetto dell’esperienza, animali, piante, cose e li induce a parlare in tono volutamente infantile e stereotipato (chissà poi perché! Chi ci autorizza a pensare che i bambini abbiano davvero quel linguaggio zuccheroso? E se fossimo noi ad imporglielo, noi adulti in ritardo?).
Ma non è stato sempre così; non soltanto fatine ed orchi! Esopo e Fedro erano dei moralisti che adoperavano i supposti pensieri degli animali come maschere per parlare agli uomini e degli uomini. Inoltre, la funzione fabulatrice si fa ben presto mito, ovvero codice immediato e colorito con cui si veicolano,per virtù di fantasia, eventi e verità storiche, e questo a partire dai classici greci fino alle grandi scrittrici del Novecento italiano, Elsa Morante e Annamaria Ortese, che rivestono (ma è una veste corta corta) di favola le crudissime realtà di quel secolo.
Ad esse contemporanei, gli studi assolutamente innovativi di Vladimir Propp sulle radici storiche dei racconti di fate e sulla morfologia della fiaba, oltre che a trasportare i bagagli di una metodologia culturale serissima e profonda in un campo che consideravamo “leggero”, hanno definito per sempre la metodologia dello strutturalismo in quanto di duraturo del movimento rimane.
Ogni libro di favole è,per definizione, ambiguo, perché scritto da adulti per una audience di fanciulli (o no?). Magistralmente ambiguo è l’archetipo di questo tipo di produzione artistico-letteraria: “Le petit Prince” del non certo fanciullo Saint-Exupéry.
Ambiguo, nel senso originale del termine,”doppio” e non in quello peggiorativo dell’uso comune, e in due sensi è il libro “freschissimo di stampa”, appena appena nato che l’illustratrice (Cristina Sosio) e la scrittrice (Maria Franca Ferraris), loro assai ben acculturate, hanno scritto per un pubblico, a sentir loro, di “semplici”.
Due i linguaggi della “bella fabella”, quello delle bellissime, fantasiose e ricche illustrazioni e quello del fluidissimo ed esperto dire prosastico; due i destinatari del volume (che si raccomanda anche per nitidezza e bellezza grafica!): i bambini sì, ma anche noi adulti, attratti dall’elegante, magistrale fluidità dell’insieme e,ancora, due i mondi che vi si incontrano, un sottofondo storico assai accurato e teneramente insistito, anche nella precisione “realistica” del paesaggio, dalla quilianese Cristina e un libero sfogo, divertito ed un poco incredibile in due persone “colte”, nella fantasiosa incarnazione di tempi e vicende millenarie nelle “creature”-supporto delle favole come fantasmi,elfi e draghi.
Le coautrici hanno lavorato fisicamente insieme, con scambi di idee-progetto che immagino subito condivise ed attuate su pagina e tavola, in una simbiosi che è ben raro riscontrare. Non c’è stata, come sempre accade, la primazia del testo e, a seguire, l’illustrazione: il tutto è nato in una specie di calor bianco che indica una continua, amichevole intesa, senza sopravventi o disattenzioni.
Lavoro per bambini, ma svolto da ottime operatrici adulte. E si sente subito. Da un lato la precisione affettuosa del disegno che rileva luoghi a lungo percorsi e amati; dall’altro uno scrivere esperto (Maria Franca ,ben nota alla cultura savonese, è autrice di molte opere) che si è lasciato alle spalle temi esistenziali e civili per assumere un ruolo sorprendentemente fluido, da animatrice-in-punta-di-piedi che fa raccontare la “storia” alla bambina Ottavia. Nel nuovo linguaggio, che si fa colorito come le tavole, sorprendenti per netta ed ispirata bellezza, la partner-scrittrice mescola latino, inglese, francese, dialetto (indimenticabili le mele carpèndule per spiegarci l’etimo del Pomo quilianese), battute da ragazzi ed assoluta precisione! – in un linguaggio-gergo per lei nuovo e scorrevolissimo.
Non si racconta, certamente, il plot della favola: è una rapsodia di temi della storia di Quiliano dall’età romana a due ragazzi di oggi, sempre appoggiata su dati certi, su reperti d’archeologia che Cristina, con le sue “passioni” di pittrice e di bibliotecaria conosce come se stessa, ovvero su una griglia su cui far agire la fantasia,ma non sfrenata. La barra del navigar per mare di favola è sempre saldamente nelle mani delle due autrici.
Buona lettura,dunque; buon caleidoscopio di immagini, qualche volta d’amor struggente come la mappa di Quiliano che è una mappa del cuore.
E buona riflessione per adulti: il Drago che sa tutta la storia perché si ricompone di continuo, ma solo ad opera di persone davvero persone.

SERGIO GIULIANI

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Sono lieto di recensire l’ultima fatica letteraria di Franca Maria Ferraris che, assieme a Cristina Sosio, ha pubblicato per i tipi dell’editore De Ferrari il libro intitolato “Aquilius e la stirpe del drago”, impreziosito dalle illustrazioni e dalla grafica di Cristina Sosio. È un’opera indirizzata prevalentemente ai lettori più giovani; entra pertanto, a pieno titolo, nella ‘letteratura per ragazzi’. Occorre precisare che l’espressione ‘letteratura per ragazzi’ fa riferimento a un vasto numero di opere e di generi letterari che, in qualche modo, si ritengono adatti ad un pubblico di bambini e di fanciulli. Si parla, dunque, di testi pensati esplicitamente per la lettura da parte dei giovani e notoriamente apprezzati da loro, ma non sempre è stato così. Vi sono state opere come “Il principe e il povero” o  “Huckleberry Finn” di Mark Twain, che sono state molto apprezzate dal pubblico dei più giovani anche  se pensate per gli adulti.  “Alice nel paese delle meraviglie”, al contrario, fu concepito come storia per bambini, ma viene generalmente considerato più adatto soprattutto a un pubblico adulto. Solitamente  tali opere sono accomunate dai loro contenuti morali,  intrinseci alla loro natura letteraria. La loro vocazione è quella di veicolare messaggi potenzialmente educativi. Anche in questo caso, si possono esprimere riserve su alcuni titoli. Questo tipo di letteratura è caratterizzata, unica certezza, dal binomio inscindibile autore- illustratore. Parlando di illustrazioni, ci addentriamo in un campo vasto come il mare, dove spesso operano illustratori, grafici o pittori assai noti per le loro opere, di cui non si conosce alcun dato biografico.  Cerchiamo di colmare almeno questa lacuna. Franca Maria Ferraris con le sue opere di poesia e narrativa  ha già catturato numerosi lettori. Citiamo, tra le altre: “Di Valbormida il cuore”, poesia, 1997-, 2° ed. 2002  e  “Le parole del mare” prosa e poesia, 2005. Tutta la sua esistenza  è un esempio di fedeltà alla letteratura e alla poesia, fedeltà che è, ancora e soprattutto,  fiducia  e speranza nel bello ‘come l’agave che s’aggrappa al crepaccio dello scoglio’ (Montale). Ho sempre ammirato la scrittura della Ferraris, intimamente metafisica, e  con una ricca tensione etica. Cristina Sosio,  ha arricchito il volume con un corredo iconografico di pregevole fattura. Bibliotecaria  di professione e  pittrice per vocazione, è laureata all’Accademia Ligustica di Belle Arti. È specializzata in arti visive e discipline dello spettacolo. Ha già curato la veste grafica di alcune pubblicazioni tra le quali “Vie storiche del  Quilianese”, 2009, e  “Le storie di Dragoleo”, 2010.
Ed ora veniamo al libro in questione. Vi si narra la storia della stirpe di Aqulius il Drago, che per i suoi numerosi meriti e acclarate virtù, è stato nominato  Drago Mago. Ha una grande dote: quella di fermare il tempo. Chi è padrone del tempo può percorrere la storia a suo piacimento e ignorare ciò che i Latini affermavano con grande saggezza ‘ruit ora’. Anche lui, però, è soggetto al momento in cui nel sole dell’amore tutto rifiorirà e si ricomincerà a rivivere. La storia narrata è ammaliante e avvincente, anche perché è simbolicamente descritto l’eterno conflitto fra il bene e il male, incarnato quest’ultimo, dal cattivo Mago Norum e dalle sue Forze Occhiute.  Egli imperversa su Aquilius con malefici di ogni sorta. Lotteranno contro lui anche i Gatti Sapienti, che prenderanno coscienza di essere essi stessi i discendenti di una stirpe, come lo è ogni creatura di questo mondo. Accanto a loro, combattono per il bene il Drago Aquilius, detto anche Draghetto, i due ragazzi Ottavia e Max, gli elfi, le fate e le streghe. È veramente di pregio questa intuizione dell’autrice in merito alla stirpe felina. Già Baudelaire affermava che i gatti hanno caratteristiche superiori che ammaliano la sensibilità dei poeti. Lasciamo ai lettori maggiorenni e minorenni l’opportunità di addentrarsi nell’intrico di questa vicenda sempre appassionante e avvincente, che presto, ne siamo certi, avrà un seguito.  Abbiamo parlato nell’incipit di fatica letteraria, ma scorrendo le pagine del libro, si scopre che per Franca Maria Ferraris scrivere è un piacere infinito, come per Cristina Sosio lo è il dipingere.

GIANFRANCO BARCELLA

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“Aquilius e la Stirpe del Drago” è il titolo di un libro che unisce la magia e il mistero del passato alla modernità del presente. Scritto da Franca Maria Ferraris e illustrato da Cristina Sosio, il testo è adatto sia per i più grandi che per i più piccoli perché, per mezzo della fantasia, fa viaggiare in epoche straordinarie popolate da pirati, cavalieri medievali e draghi o in luoghi remoti come castelli, grotte e villaggi di elfi e fate. La magica storia è ambientata a Quiliano, in provincia di Savona, il nome del paese è stato trasformato in Aquilis in onore del cavaliere Aquilius, possessore di terre realmente esistito in quel luogo. Nella storia, raccontata con minuzia di particolari e trasporto dall’autrice, vi sono molti personaggi simpatici che accompagneranno il lettore in favolose avventure. Ad esempio, i fratelli Octavia e Maximus Dragobello De Aquilibus, i loro quattro Gatti Sapienti Amìr, Bedàl, Ganùt e Zadòr, il fantasma di Aquilius, il Drago Mago soprannominato Draghetto, ma anche elfi, fate, streghe e forze malvagie quali il malefico mago Norum e le sue forze Occhiute. Ad accompagnare le parole della scrittrice vi sono, all’interno del libro, i bellissimi disegni di Cristina Sosio, colorati per mezzo di un programma particolare di grafica realizzata a computer. L’illustratrice ha dato vita alla storia disegnando sia i personaggi, molto espressivi e simpatici, che i luoghi magici e misteriosi descritti nel libro. Ma, per capire meglio di cosa tratti il testo ci vengono in aiuto le parole dell’autrice stessa che scrive: “Questa è la storia di una stirpe, la Stirpe dei Dragobello De Aquilibus. Tenetelo ben a mente ragazzi! Ma soprattutto tenete a mente che ogni essere di questa terra, umano, animale, vegetale, fa parte di una stirpe, perché in questo mondo ognuno ha una sua storia precisa, inequivocabile ed inconfondibile con la quale il suo sangue (o la sua linfa) attraversano i secoli e i millenni.” Con queste frasi la scrittrice vuole stimolare i lettori a prendere coscienza delle proprie radici, a dar valore alla storia della propria famiglia, a conoscere l’ambiente di origine in modo tale da poter comprendere il presente con l’aiuto del proprio passato.

ARIANNA CRAVIOTTO

VB, Liceo Artistico A. Martini, Savona, anno scolastico 2011-2012

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“Aquilius e la stirpe del Drago” è un romanzo avventuroso e mutevole, con divertentissimi personaggi, interessanti colpi di scena e bellissime illustrazioni. L’ho fatto leggere anche ai miei nipoti di quattordici e undici anni che, essendone entusiasti, desiderano esprimere il loro plauso. Mi augurio di leggere presto qualche altra opera di analoga bellezza”.

GIORGIO BÀRBERI SQUAROTTI

 

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