Franca Maria Ferraris

Recensioni

 

Giudizi di importanti critici sulle opere - Recensioni 2011

“Animali in teatro”, Bastogi 2011 di Franca Maria Ferraris

Si riporta il testo critico di Laura Rainieri, sempre sul libro “Animali in Teatro”, Prefazione di milena Milani, Illustrazioni di Michela Savaia, Ed. Bastogi 2011   Con  la sua  capacità di trattare in poesia argomenti  diversi e con facilità di verso, piegato al suo volere, secondo la tradizione letteraria italiana, in questo nuovo libro di poesia “ANIMALI IN TEATRO”, Bastogi 2011, Franca Maria Ferraris  perlustra il Creato, cercando di dare voce a tutti coloro che restano in  silenzio, nella fattispecie gli animali,  come dice in exergo, citando Arnold Eidslott. Dare voce alle creature dell’universo che non hanno linguaggio umano è, allo stesso tempo, un atto d’amore e di recupero consegnato ai posteri e, insieme, una volontà di interpretare le espressioni vocali di tante creature, espressioni per lo più sconosciute agli uomini o di difficile decodificazione. Il libro si avvale della prestigiosa prefazione di Milena Milani, che introduce   alla lettura del testo con  tono accattivante e molto  personale. Le illustrazioni, coloratissime, sono di Michela Savaia e ben armonizzano con le poesie, mettendo in rilievo le caratteristiche dei vari personaggi animaleschi. Anche la  copertina è sapientemente realizzata da Michela Savaia: un  rosso sipario che si apre su uno sfondo azzurro, in  attesa di  presentare agli spettatori  la sfilata degli animali  che vi reciteranno i loro monologhi, proprio come in un teatro.  Il lettore , al quale si affacciano le figure degli animali chiamati in causa, reali o fantastici che siano, viene quindi immerso in un mondo favoloso, ricco di oscurità e di ombre, come sempre sono i versi della Ferraris, che lo fa entrare in uno zoo particolare, dove i grandi diventano bambini e viceversa, e dove incontra figure di  animali che gli hanno regalato il loro affetto o scatenato le sue paure. Emerge, inoltre, un livello di lettura che risveglia  le conoscenze letterarie, non solo di Esopo  o di Fedro, ma di autori a noi più vicini, dove l’animale è considerato sia nella sua reale natura, sia come simbolo di vizi o di virtù. Ogni poesia contiene un messaggio che fa riflettere, come quella iniziale “Il passero”, piccolo uccello cantato fin dai tempi di Catullo, che si legge come una metafora del mondo odierno, abitato, per una parte,  da un’umanità troppo sazia e,  per un’altra parte, da un’umanità che muore di fame e che, come il passero, chiede un gesto d’amore, cioè almeno le briciole, per potersi salvare. Il concetto d’amore filtra in molte altre poesie come ne “La raganella Dolcinea” e ne “Il corvo” che perde la compagna e il suo grido risuona come “un affranto richiamo d’amore” fatto di inconsolate lacrime (“l’illacrimata sepoltura” foscoliana). Ci sono anche “l’asinello”, umile e  bistrattato, ma che vorrebbe essere,  invece, una “creatura intelligente e amata”, e “I cigni” che reclamano acque più limpide. C’è “Il drago dagli occhi di sole” che scrive sulla sabbia una storia d’amore senza fine, ma nessuno la  leggerà perché un’onda verrà a  cancellarla. Questi gli esempi,  per rilevare come l’idea dell’amore circoli per tutta l’opera. Un altro concetto che vi ha risalto è quello della pace. Trovo bella, quasi petrarechesca, la poesia  “Piccola rossa volpe” il cui corpo è ormai unito “al nero corpo della terra” da dove, come Laura, invierà un  ultimo saluto al passante. La morte, in questi testi poetici, è vista come un evento non orribile ma naturale, se non addirittura dolce. “L’ape”, ad esempio, felice di aver procurato all’uomo un dolce favo pieno di miele, implora come ricompensa, che la morte sia per lei come un soffio e “la mia urna il calice di un fiore”. Il topo che muore tra gli artigli del gatto è nella regola, mentre la tristezza del cardellino che, pieno di gioia, ma con un triste presagio, già paventa, in estate, l’arrivo dell’inverno, ha un tratto molto delicato. La vendetta de “l’Albatro di Samuel” ( ispirata alla ballata di  T. S. Coleridge), è invece altra cosa, in quanto l’albatro viene  ucciso senza  motivo da un marinaio che dovrà poi espiare la sua colpa. “Il cormorano” , evocando la sua immagine televisiva coperta di petrolio al tempo  della “guerra del Golfo” (1991), chiede libertà di volo in  un cielo pulito, non contaminato da guerre e da disastri ambientali; e anche  “il merlo indiano” come “la rondine di mare” contengono la stessa idea di libertà. Molto suggestive e frutto di pura invenzione, sono le poesie dove si rovesciano i ruoli tradizionali di alcuni  animali, oppure dove l’uomo non viene assimilato all’animale perché sarebbe un’offesa per l’animale stesso. Se “il leone dal bianco mantello”, re della foresta, può vantare sentimenti umani per il topolino che gli tolse la spina, e “lo sciacallo”  può essere  scusato perché la sua immonda fame,  guidata dall’istinto, gli è connaturata, gli uomini quali scusanti hanno di essere sciacalli dei loro simili? O di spargere veleno attornoa sé,  più di uno scorpione? (“lo scorpione”); O chi può essere più mandrillo di un uomo che decida di  comportarsi come tale?” ( “Il gorilla”); o di saper succhiare più sangue di un vampiro? (“ Il vampiro”). Anche l’oca,  per  tradizione  stupida- come- un’oca, nella poesia “L’oca … furba o svampita?,  sa vivere nell’acqua e fuori, e  non teme  la pioggia torrenziale, a differenza dell’uomo che ne cerca riparo. Ciascuna poesia, dunque, è portatrice di messaggi, ma mi preme considerare ancora le tre poesie finali, ispirate a  importanti testi letterari,  e perciò cariche di simboli: la già citata “L’albatro di Samuel”, poi “Il lupo di gubbio” e,  infine, “La balena bianca”, dove è  ripresa l’idea di Melville, della lotta tra il bene e il male, qui  riproposta tra il mondo animale e il mondo umano, per la quale l’autrice propone l’alleanza tra  “l’uomo e i fratelli del mondo animale/  tra l’uomo e il suo profondo” , là dove trovano spazio gli istinti, e non i migliori. Chiude la raccolta la poesia “Il liocorno”, dove  Il mondo della magia e del mito sono  incorporati nell’affascinante figura mitologica del liocorno,  nata nel medioevo e protrattasi fino a noi, come testimonia la bellissima serie di arazzi, altamente simbolici,  de “LA Dama dal liocorno”, ad Angers. il mitico animale   assorbe, infine, l’interesse della ferraris che lo elegge rappresentante di  una realtà multipla, nominandolo come un gran “transformer”, cioè come colui che, grazie all’unicità del suo corno, può prendere le sembianze di altri animali, approdando così al regno della poesia dove  la realtà può assumere molti aspetti, a seconda  di come ogni poeta  la capta e la esprime,  e di come  ogni  lettore la comprende e la fa sua.

LAURA RAINIERI

(Roma- agosto 2011)

 

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